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ALI DI CARTA

- La bottega dell'invisibile di Benedetta Bulgarini
- Dulce et decorum est di Matteo Ramadori e Orso Drago
- Il fragile filo dell'esistenza di Michele Porta
- Roma di Sofia Galvanio

La bottega dell'invisibile - parte 4

MONACHOPSIS

 

Monachopsis: Il sottile, persistente presentimento di essere fuori posto

 Ai guerrieri silenti che, per risparmiarsi lo stridere dell’acciaio, rinfoderano la spada

 

Vorrei…

“Che cosa desideri?”

 

La polvere ha incrostato questa bottiglia, l’ha resa opaca e ne ha scheggiato l’orlo ben sigillato. L’interno non custodisce nulla di rilevante, se volete sono solo sillabe mischiate, parole soffocate dietro ad una maschera.

Avete mai visto una vipera che cattura un topo?

È una scena straziante, di una dinamicità unica e letale. La serpe si attorciglia stretta al roditore, più i muscoli del topolino guizzano per liberarsi, per farsi spazio tra le spire. Alcuni serpenti utilizzano il morso, una fine a dir poco sublime nella sua rapidezza; altri continuano a stringere. Le ossa del topo cedono, la creatura smette di muoversi e, progressivamente, tace gli squittii e soccombe. Pochi minuti, e il cuore si ferma per insufficienza respiratoria.

Monachopsis.

Questo serpente non si vede. Non brilla di verde o di nero, non fa tintinnare i sonagli di morte e tantomeno mostra le zanne acuminate, non le ha. Non importa quanto possiate essere grandi, quanto gonfiate i muscoli per ingrandirvi ed evitare la trappola: la bestia si arrampica furtivamente e si accuccia, tetramente quieta, tra le crepe della vostra tana. Siamo tutti topi. Piccoli sorci impauriti che scappano dalla sentina della nave che affonda, ormai tutti rintronati dalla polvere da sparo e sazi degli avanzi di rum lasciati dai pirati. Il serpente è là, negli spazi più apparentemente insignificanti del vostro ego, nelle minime insicurezze che venano la statua aurea che vi siete edificati con tempo, pazienza e irrimediabili menzogne. La più grande paura è che questa vostra autocelebrazione si sfaldi, l’oro che va via via spalmandosi in terra da un giorno all’altro, lasciando nuda la roccia che ricopre. La paura più grande è che qualcuno vi bisbigli la verità: non siete intoccabili. Ve l’ho detto, non importa quanto siete imponenti. C’è sempre spazio per il dubbio.

Ed eccovi qua, piccole cavie, davanti ad un immaginario gruppetto di persone, ad intrattenere una banale conversazione. Basta quella parola di troppo, le spalle degli interlocutori che si chiudono le une verso le altre in un ipotetico recinto, e la stanza si svuota. I suoni appaiono ovattati: che gentile, Monachopsis vi ha tappato le orecchie con la coda. Le sue squame bruciano come catrame incandescente, incastrano ogni singolo suono che minaccia di sgusciarvi via dalle labbra. Il fumo nero vi sale nelle narici, le pupille si assottigliano per il disgusto… il disgusto, sì, ma non del tanfo del bitume.

Le spire si stringono, il topo si dimena. La lingua biforcuta fa inarcare la schiena del roditore, di noi tutti roditori ammaliati dalle fauci buie.

“Fanno a meno della tua presenza”.

La coda rosa della preda guizza. No, non è vero.

Il cervello affoga, si dimena nella pila di dubbio che lo ha sommerso, nello sterco dell’indicibile.

Per un po’, il topolino ci prova: “Non mi farebbero mai questo, mi vedono, sono qui”.

Sei sicuro che ti vedano, piccolo come sei?

Vali il loro tempo?

Tu, lurida pantegana, vali qualcosa?

“Stanno meglio senza di te”.

Continuano a parlare mentre annaspi, lottate per restare il brandello di carne che eri.

La stanza è fredda, nessuno può sentire il serpente che si insinua tra le ossa e le fa scricchiolare pericolosamente. Cercate aria che non c’è, il velo di questa malsana, nuova, scomoda consapevolezza che vi fa abbassare lo sguardo.

Le spalle si ingobbiscono, le labbra si stringono… non siete altro che l’ombra di voi stessi mentre cauti girate i tacchi.

Dove andate non si sa, ma mentre l’ambiente torna a popolarsi desiderate solo trovarvi al vostro posto, dove non ci sono recinti di persone.

Muti, fantasmi in sella a destrieri d’illusioni e paure, il destino dei topi è scritto.

Il ventre di Monachopsis ha occupato il posto più importante del vostro corpo.

 

Vorrei…

“Che cosa desideri?”

Che tu mi tolga il bavaglio.


Benedetta Bulgarini



Dulce et decotum est

Matteo Ramadori e Orso Drago




Il fragile filo dell'esistenza

 

Vago

sospeso sul filo teso dell’esistenza,

sospinto da criptici pensieri,

screziato dal glaciale sollievo.

 

Barcollo

sospeso sul filo teso dell’esistenza,

nella districata via della disumana ed informe massa,

nella mostruosità inquietante della divorante voragine,

nella città lacerante dell’inquietudine,

nell’indecifrabile comprensione dell’inconscia natura.

 

Precipito

sospeso sul filo teso dell’esistenza,

percependo vanamente

l’indefinito,

l’assoluto,

l’inedito fine,

la lontananza della sede dei miracoli.

 

Attendo

sospeso sul filo teso dell’esistenza

l’accecante liberazione dai vincoli.

 

Michele Porta



Roma


Roma, paradiso dei nuovi

brilli di luce soffusa

i tuoi figli ti hanno tradita

sei triste, sei madre

sei triste ma brilli

brilli di luce soffusa.

   

Sofia Galvanio

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