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CINEPHILO

- La rappresentazione delle minoranze nella Disney di Bianca Tiberia
- Bobby Driscoll di Eleonora Scalabrella

La rappresentazione delle minoranze nella Disney

 Chi di noi non conosce la Disney? Che si tratti di aver visto i film dello studio, di aver avuto dei giocattoli a tema o semplicemente di averla sentita nominare, ognuno di noi si è imbattuto almeno una volta nella vita nei prodotti del Grande Topo. Ormai centenaria, la multinazionale fondata nel 1923 è ancora oggi tra i dominatori indiscussi dell’industria dell’intrattenimento, costituendo un vero e proprio impero capitalista e consumista diffuso in gran parte del mondo, i cui prodotti vanno ben oltre il classico merchandising di un film: volendo, si potrebbero acquistare  vestiti a tema Disney, giocattoli a tema Disney, utensili, spazzolini, tende, coperte, mobili e tanto altro… Insomma, c’è di tutto per tutti. E anche i film Disney sembrano rafforzare questo messaggio di inclusione ed universalità. Ma la Disney è veramente un luogo sicuro per tutti? Come si comporta lo studio nei confronti delle minoranze? Non è un segreto che lo studio abbia avuto problemi di rappresentazione etnica. I film più vecchi della Disney sono pieni di stereotipi offensivi e razzisti, come Dumbo o Il libro della giungla, ma anche film degli anni ’90 come Aladdin o Pocahontas (ispirata alla figura realmente esistita di Matoaka, una ragazza nativa americana appartenente alla tribù Powhatan) presentano raffigurazioni incorrette e occidentalizzate. Non si può dire che nei film più recenti la situazione sia cambiata: prendiamo, per esempio, il film La principessa e il ranocchio, del 2009. Tiana, l’unica principessa Disney afroamericana, per ¾ del film è trasformata in una rana, e la sua forma umana è effettivamente visibile solo all’inizio e alla fine del film. Il che è un peccato, perché Tiana è un personaggio molto forte e un ottimo modello per bambini e bambine in tutto il mondo, che hanno sofferto la mancanza di un’eroina (e dunque la possibilità di identificarsi nella stessa) per la maggior parte del film. Ricordiamo però che lei è anche l’unica principessa Disney a far fronte con problemi finanziari: nonostante la sua forza, la sua indipendenza e la sua determinazione siano ammirabili, è sicuramente una gran spiacevole coincidenza che sia proprio lei ad avere problemi di denaro, in tema con lo stereotipo secondo cui le comunità nere siano esclusivamente povere e abbiano bisogno di servire i bianchi benestanti per ottenere un posto in società. Gli unici altri personaggi Disney ad avere problemi simili sono Lilo e Nani in Lilo&Stitch, e stranamente anche loro appartengono ad una minoranza etnica. Per fortuna la rappresentazione etnica nei film Disney e Pixar è migliorata negli ultimi anni, come in Oceania o in Coco, ma un problema simile a quello di Tiana è presente nel film della Pixar, Soul. Anche lì infatti il protagonista Joe, insegnante di musica afroamericano, appare per la maggior parte del film sotto forma di anima e poi di un gatto. Il comportamento della Disney nei confronti della comunità LGBTQ+ è altrettanto ambiguo. Sin dalla nascita dell’azienda molte persone queer hanno lavorato ai film dello studio, ma fino a tempi più recenti sono sempre rimasti nell’ombra, invisibili all’occhio dello spettatore medio. La stessa cosa vale per i personaggi queer: la maggior parte di essi, infatti, ha un ruolo minuscolo, molto trascurabile ed estremamente facile da tagliare. Esempi recenti più eclatanti posso essere LeFou nel live-action de La Bella e la Bestia del 2017, che nel finale danza insieme ad un altro uomo, i vicini di casa di Judy Hopps in Zootropolis, il bacio tra due donne in Star Wars: L’ascesa di Skywalker, l’identità della poliziotta Specter in Onward oltre a più esempi in Marco e Star contro le forze del Male (SVTFOE), come la relazione tra i personaggi Jackie e Chloé e un bacio tra due uomini in un episodio della serie. Suonano familiari? Probabilmente no: basti pensare che ognuno di questi personaggi è stato etichettato come “il primo personaggio Disney queer” almeno una volta. I primi due esempi (insieme a Jackie e Chloé) sono estremamente ambigui: sarebbe quasi impossibile dire che questi personaggi sono queer senza conferme esterne da parte dei produttori. La scena queer in Star Wars è stata completamente rimossa in paesi come il Singapore, dove è vietato mostrare manifestazioni di amore tra due persone dello stesso sesso, così come il bacio gay in SVTFOE. Onward, invece, è stato bandito in molti paesi a causa della presenza di Specter. Recentissimi, invece, sono i casi di The Owl House e Strange World: la prima è una serie del 2020 molto amata con vari personaggi queer, tra cui una protagonista bisessuale, una coppia gay di genitori, un personaggio non-binary, uno aromantico e asessuale e molti altri. Insomma, una bellissima ventata d’aria fresca per la Disney: finalmente un loro prodotto mostrava apertamente dei personaggi queer, protagonisti di una storia interessante con una comunità di fan fedeli e appassionati. E invece Disney decide di cancellarla dopo solo due stagioni, concedendo ai creatori tre episodi speciali da 40 minuti per concludere la storia. La ragione? “Non è adatto al brand” (In inglese “It doesn’t fit the brand”). Curioso, senza dubbio, e sicuramente un peccato. In Strange World, un film uscito solo lo scorso novembre, invece, uno dei protagonisti è innamorato di un suo coetaneo, costituendo effettivamente il primo protagonista gay di un lungometraggio Disney. Tuttavia, il film è stato quasi ignorato dalla Disney, che sembra essersi impegnata assai poco nella sua pubblicizzazione: ad oggi esso ha incassato circa 70 milioni di dollari al botteghino, somma molto bassa per un film dello studio, senza contare che il film ha ottenuto dei risultati mediocri anche su Rotten Tomatoes, dove ha un punteggio della critica pari a 71% e un punteggio del pubblico di 66%. Con questi risultati, Strange World aderisce al concetto di “Sacrificial Trash” (Spazzatura sacrificale) ideato da Sarah Z, una youtuber canadese: la scarsa qualità del film non è in alcun modo legata agli elementi LGBTQ+ in esso, ma questo è stato un escamotage per alcuni critici anti-LGBTQ+ per attribuire la mediocrità del film ad essi, secondo il famigerato motto “Go woke, go broke”, secondo cui i contenuti inclusivi non portano profitto. E poiché il profitto è l’elemento più importante per un’azienda, questo motto diventerebbe pericoloso nel momento in cui uno studio decidesse di non realizzare più film queer o inclusivi, giustificandosi con la paura di scarsi incassi. In sintesi, lo studio sembra star quasi giocando un doppio gioco, “volendo soddisfare tutte le parti”. Eppure questo non fa che causare ancora più problemi per la comunità LGBTQ+: non dimentichiamo infatti che la Disney, nonostante i suoi più recenti tentativi di rappresentazione queer, nel 2022 ha inizialmente supportato finanziariamente i promotori della legge “Don’t say Gay or Trans” della Florida, che stabilisce il divieto di far qualsiasi riferimento all’orientamento sessuale o all’identità di genere nelle scuole pubbliche fino alla terza elementare. Molti critici hanno ritenuto questa legge contraria al Primo Emendamento americano, affermando che essa metta a rischio la libertà di parola degli insegnanti, o che crei problemi ai bambini appartenenti a famiglie LGBTQ+. Eppure Disney ha continuato a non rilasciare dichiarazioni contrarie alla legge, essendo molto legata all’economia della Florida attraverso Disneyland (situata ad Orlando), se non dopo molte critiche e sollecitazioni da Internet. L’allora direttore Bob Chapek ha affermato: “Abbiamo scelto di non prendere una posizione pubblica su questa legge perché pensavamo che sarebbe stato più efficace lavorare dietro le quinte, comunicando direttamente con i legislatori di entrambe le posizioni politiche. […] Non abbiamo donato soldi a politici riguardo a questa vicenda, ma abbiamo contribuito alle campagne di politici repubblicani e democratici che poi hanno preso posizioni su questa vicenda”. Nonostante ciò, dei dipendenti della Pixar hanno rilasciato pochi giorni dopo una lettera in cui criticavano la Disney, ricordando come i parchi Disney non avessero ospitato ufficialmente un Pride prima del 2019, oltre alla storia di oppressione dei Pride creati dai fan nei parchi (Come i Gay Days non ufficiali), e di come fino al 1985 fosse vietato alle coppie dello stesso sesso ballare insieme nei parchi del Grande Topo. Hanno concluso: “È difficile far parte di un’azienda che monetizza merchandise del Pride ma che poi fa un passo indietro nei momenti di bisogno, quando i nostri diritti sono minacciati”. La Disney ha poi firmato, insieme ad altre 150 aziende, una dichiarazione commerciale nazionale contro le leggi anti-LGBTQ+, ma The Human Rights Campaign ha deciso di rifiutare la loro donazione, condannando la Disney per non aver preso posizione e per aver permesso che molte famiglie queer della Florida non si sentissero al sicuro sotto il brand.


Bianca Tiberia


Bobby Driscoll

Il film “Cip & Ciop agenti speciali” prodotto nel 2022 negli USA in tecnica mista è stato diretto da Akiva Schaffer, basato sull'omonima serie animata della Walt Disney Television Animation. Il film racconta cosa è accaduto a Cip e Ciop trent'anni dopo la cancellazione della loro serie.

Il cattivo della storia è Sweet Pete, che in realtà altri non è che Peter Pan, che si era dato al crimine dopo essere stato cacciato da Hollywood perché cresciuto. Questo film causò molte polemiche e odio da parte del pubblico in quanto lo stesso riteneva che la Disney prendesse in giro la storia tragica di Robert Cletus Driscoll.

 Robert Cletus Driscoll, conosciuto meglio come Bobby Driscoll, nato il 3 marzo del 1937 a Cedar Rapids (Lowa) era un famoso “attore bambino” statunitense, ha vinto l’oscar giovanile nel 1950.

Nel 1943 la famiglia si trasferì a Los Angeles, in California, dove il giovane attore iniziò a cinque anni la sua carriera, incoraggiato fortemente dai genitori. In particolare, quando il figlio del loro barbiere, un attore, offrì un’audizione a Bobby al MGM per un ruolo in Lost Angel, i genitori accettano.

Nonostante sia apparso sullo schermo per pochi minuti, questi gli aprirono la strada per ottenere altri ruoli in film famosi come: Al Sullivan nel dramma della Seconda Guerra Mondiale del 1944, The Fighting Sullivans.

Nel 1946 ottiene il suo primo ruolo da protagonista nel film Song of the South,  in cui lui interpreta un ragazzo che visita la piantagione del nonno.

Dopo il film il giovane attore firmò un contratto, insieme all'attrice Luana Patter, con la Walt Disney, diventando il primo attore maschio a farlo.

Con la Disney fece quattro film:

-           So Dear to My Heart  che fu fatto subito dopo Song of the South  ma fu pubblicato nel 1948

-          Treasure Island

-           So Dear to My Heart

-           Peter Pan prodotto tra il maggio del 1949 e la metà del 1951 dove Bobby venne usato come modello di riferimento per Peter Pan e ne fece anche la voce.

 Discroll grazie a i ruoli interpretati in So Dear to My Heart e My Window della RKO Pictures, nel marzo del 1950 gli viene assegnato il premio Juvenile Academy Award, che è un Oscar onorario speciale conferito dal Consiglio dei governatori dell'Academy of Motion Picture Arts and Sciences, per riconoscere in modo specifico i giovani artisti di età inferiore ai diciotto anni per il loro "eccezionale contributo all'intrattenimento cinematografico". 

La sua carriera sembrava procedere bene, finché nel marzo del 1953 inaspettatamente la Disney annullò il suo contatto (che doveva finire nel 1956) qualche settimana dopo l’uscita a teatro di Peter Pan.

Si presume che a causare l’interruzione del contratto sia stata la sua precoce pubertà accompagnata da una forma acuta di acne che neanche i cosmetici riuscivano a mascherare e quindi l’inadeguatezza della sua immagine rispetto ai protagonisti che la Disney aveva ipotizzato che lo stesso interpretasse.

Dopo essere stato cacciato dalla Disney l’adolescente vide la sua carriera interrompersi bruscamente. I genitori lo hanno ritirato dalla Hollywood Professional School,  e lo hanno iscritto alla West Los Angeles University High School, dove fu spesso vittima di bullismo a causa della sua precedente carriera. Lo stress e la difficile situazione sociale lo spinse a fare uso di sostanze stupefacenti, portandolo velocemente alla tossicodipendenza.

Driscoll cercò di portare avanti la sua carriera spostandosi spesso tra New York e la California per studiare recitazione, ma con scarsi risultati, e la sua carriera finisce ufficialmente nel 1956 diventando uno dei molti attori bambini di Hollywood che non riuscirono a mantenere lo stesso successo da adulti.

 «Mi portavano in giro seduto su un cuscino di seta, e d'improvviso mi hanno lasciato cadere in una pattumiera» disse lui stesso.

Nel marzo 1957 sposò Marilyn Jean Rush da cui ebbe tre figli. La loro relazione fu molto instabile e divorziarono definitivamente nel 1960 .

Robert Driscoll non si riprese mai dall’essere stato abbandonato da Hollywood.

Fu arrestato numerose volte con l'accusa di aggressione, possesso di droga, furto con scasso e frode di assegni, e fu rinchiuso nella prigione maschile di Chino nel 1961 per la riabilitazione dalla droga.

 Nel marzo 1968, due bambini che giocavano in un caseggiato abbandonato nel Greenwich Village di New York si imbatterono nel corpo di un uomo deceduto.Era sdraiato in una branda, circondato da bottiglie di birra e opuscoli religiosi.Non c'erano segni di colluttazione e nessun documento che permettesse un'identificazione del corpo.I tentativi di identificarlo non portarono a nulla.Alla fine fu determinato che l'uomo era morto per insufficienza cardiaca causata da aterosclerosi avanzata, il risultato di un uso prolungato di droghe.Poiché la sua identità era sconosciuta, fu sepolto in una tomba per i poveri senza nome sull'isola di Hart nel Bronx. La madre di Driscoll non avendo più avuto notizie del figlio contattò la Disney e fece dei volantini.

Solo un anno e mezzo dopo la madre e la Disney vennero a sapere della sua morte quando fecero il riconoscimento delle impronte digitali presso il dipartimento di New York.


Eleonora Scalabrella

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