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COGITANDO

- Rabbia generazionale di Lex
- "La mia arma è la penna" di Marco Righetti

Rabbia generazionale

Tu, caro mio, non hai capito un bel nulla. Oh, aspetta, lasciami parlare. Hai paura che escano fuori le tue colpe? Trema, perché accadrà. Sei un ometto piccolo piccolo se hai minimamente creduto che, dopo la tua folle frase, non sarei stata qui a torturarti. “La vostra generazione ha tutto”, è questo quello che hai detto, vero? Ogni SINGOLA sillaba di questa affermazione mi pesa addosso come un macigno. Dottore (se questo titolo le fa gonfiare il petto da avvocatucolo), lei ha poco spirito di osservazione: come ha potuto mettere a confronto lei e me? Lei, dottore, è nato negli anni del boom economico, nel grande periodo di ottimismo. Come dice? Ha vissuto gli anni di piombo? Lei quelli non se li ricorda nemmeno, andava alle elementari. Poi si è laureato negli anni ‘90, nel periodo “spendi e spandi” della società. Le nuove tecnologie, l’iperbolico consumo di beni… Ha per caso detto Tangentopoli? Non mi faccia ridere, la prego: lei ha per caso sentito questa vicenda due volte contate al telegiornale, dal suo appartamento in Zona Trastevere, affittato con i soldi di papà.

Io, signor dottore, ho il diritto di lamentarmi, non lei: la mia generazione è quella del cambiamento climatico, quella dei tagli alla sanità e all’istruzione, quella che (secondo alcuni studi) andrà in pensione superati i 70 anni. Lei invece, si è preso la sua quota 100 e ora dall’alto del suo ridicolo titolo vuole impartire lezioni A ME sulla MIA generazione, che fa PENA in confronto alla sua.

Vado a prendermi uno xanax, signor dottore, mi sono eccessivamente alterata.

Sperando di non rivederLa,

cordiali saluti.


Lex



"La mia arma è la penna"

Da ospite esterno e da giovane amico di Edith Bruck ben volentieri accolgo l’invito del prof. Antonio Volpe, che ringrazio molto per l’opportunità, e affido alla carta l’eco della testimonianza che Edith Bruck, raffinata poetessa della speranza, ha portato al Liceo Pilo Albertelli.

I numerosi studenti presenti nell’aula magna si sono alzati in piedi all’ingresso di Edith esprimendo con questo gesto un grande e reverente rispetto nei confronti della Storia, viva e incarnata in quella elegante e minuta signora che si apprestava a condividere i momenti di luce e di tenebra della propria vita. La testimonianza di Edith, improntata sul suo recente libro Il pane perduto, è stata guidata da domande ben strutturate poste da alcuni studenti e studentesse del Liceo, in cui - ha ricordato la stessa Edith - hanno studiato due suoi nipoti.

Secondo René de Ceccatty, scrittore e critico letterario, il valore de Il pane perduto sta nel narrare non solo Auschwitz, ma anche, e soprattutto, l’infanzia prima di Auschwitz. Nelle dense pagine di Edith rivivono la mamma, i fratelli, la scuola e le dure prove dell’umiliazione; con “l’arma della penna” Edith racconta Auschwitz con la sensibilità di una bambina e lo rende percepibile persino alla coscienza di chi, indifferente al dolore, sembra ripiegato sul proprio ego e incapace di aprirsi all’altro. 

Nella sua lunga testimonianza ricorda ai presenti che nei Lager nazisti «bastava uno sguardo umano per andare avanti»: nel buio della disumanità la scrittrice ha saputo vedere cinque “punti di luce”, barlumi di speranza e di umanità. I ragazzi, che seguivano il racconto di Edith con grande partecipazione, anche emotiva, hanno poi chiesto dell’amicizia con Primo Levi, del quale Edith ha ricordato il senso di colpa che lo rendeva «murato nel suo vissuto.» Passando da Primo Levi ai giorni nostri, gli studenti non hanno esitato a dialogare con Edith anche sul presente, quando sembra riapparire la minaccia del revisionismo storico che distorce la verità stessa, obiettivo primo dell’educazione. Riferendosi alle recenti dichiarazioni del Presidente del Senato La Russa sull’attentato di Via Rasella, Edith sostiene che solo «la verità ci porterà vicini l’uno all’altro, non la menzogna.» E, tornando al proprio passato, ricorda che non furono i tedeschi a strappare lei e la propria famiglia da casa, bensì i collaborazionisti fascisti ungheresi delle Croci Frecciate. Infine Edith, sconcertata dalla dichiarazione della Presidente Meloni sull’eccidio delle Fosse Ardeatine, si domanda cosa stiamo davvero insegnando ai giovani: quella di Edith è una vera e propria invocazione alla verità. Serpeggia, purtroppo, ancora oggi il male del razzismo e dei suoi mille menzogneri volti: “Ho sentito dire / da un’anziana signora di Padova / all’uscita dalla chiesa / che affoghino / tutti gli immigrati. / Da un uomo di Lodi / che i figli dei neri / sono zecche di cani” (Edith Bruck, Libertà d’espressione, Tempi, La nave di Teseo, 2021).

Dopo aver ricordato l’amore per suo marito Nelo Risi, Edith si sofferma sul pane, fil rouge della sua vita. Alla domanda posta da una ragazza sul valore del pane la scrittrice risponde comparando il pane alla vita: «Bisogna essere in condizione di perdere un momento la vita per dare valore alla vita e per dare valore al cibo bisogna avere fame e non avere il cibo da mangiare.» Edith confida che, ancora oggi, inizia e finisce i pasti con un pezzo di pane.

Concludendo il dialogo con gli studenti, invita ciascuno dei presenti a diventare testimone, a - per così dire - “testimoniare i testimoni”. È la responsabilità di cui ciascuno di noi è chiamato a farsi carico; solo così la memoria avrà un futuro. «Tocca a voi portare avanti la testimonianza!», ha esortato Edith. Faccio dunque mia la sua speranza: «Anche illuminare una sola coscienza vale la fatica e il dolore di tenere vivo il ricordo di quello che è stato» (Edith Bruck, La memoria è vita la scrittura è respiro, in “L’Osservatore Romano”, 26 gennaio 2021).

Al termine dell’incontro Edith, commossa, si è così congedata rivolgendosi agli studenti: «Ho fiducia in voi, ho fiducia in voi, ho speranza e non la perderò mai. Grazie.»

Mi unisco all’augurio del professor Volpe perché i “semi di speranza” gettati da Edith Bruck possano fiorire in ciascuno di noi. 


Marco Righetti

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