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- La storia si ripete di Beatrice De Luca
- Matteo Messina Denaro: tra mafia, giustizia e complottismo di Davide Morelli
La storia si ripete ...
Ancora una volta ci troviamo di fronte ad un avvenimento dai contorni
oscuri e uno sfondo violento.
Ancora una volta una notizia di cronaca ci fa restare senza parole
perché ha dell'incredibile e ancora una volta siamo qui a chiederci se
non è davvero il caso che qualcosa cambi.
In data 3 gennaio 2023 a Los Angeles (USA) Keenan Anderson,
insegnante afroamericano di trentuno anni, è rimasto ucciso a causa di
un arresto cardiaco dopo essere stato colpito ripetutamente dalla polizia
con una pistola taser.
Anderson, forse per ironia del destino, oppure per semplice casualità,
era il cugino di una co-fondatrice del movimento "Black Lives Matter"
nato dopo la tragica scomparsa di George Floyd, che sarebbe, secondo
le fonti, morto a sua volta per un eccesso di violenza della polizia
statunitense.
Sarebbe cominciato tutto a causa di un incidente automobilistico in cui
Anderson era rimasto coinvolto e a causa del quale gli agenti di
pattuglia erano stati allertati.
Giungendo sul posto, la polizia lo avrebbe trovato in mezzo alla strada
mentre chiedeva aiuto. Raggiungendolo, l'agente, che indossava la
body-cam che ha permesso di ricostruire fedelmente i fatti, avrebbe
ordinato ad Anderson di andare verso il marciapiede e accostarsi al
muro.
Inizialmente Anderson avrebbe obbedito, ma poi, reduce dal trauma
dell'incidente e spaventato, sarebbe fuggito in mezzo alla strada
continuando a chiedere aiuto e dicendo: “Aiuto. Stanno cercando di
uccidermi. Vogliono uccidermi come hanno fatto con George Floyd.”
A quel punto sarebbero sopraggiunti altri agenti che lo avrebbero
atterrato bloccandolo.
Poi il culmine di tutto sarebbe stato raggiunto con l'utilizzo del taser a
diverse riprese per più di mezzo minuto.
Successivamente Keenan Anderson sarebbe andato in arresto
cardiaco.
Adesso, a che cosa ci troviamo davanti se non ad un atto di violenza
deliberata?
Se l'uomo era già a terra che bisogno c'era di fare un uso così smodato
del taser?
Questo è ciò che si domandano i familiari e i conoscenti di Anderson.
Il capo della polizia di Los Angeles sostiene che il taser sarebbe stato
usato per bloccare la fuga di Anderson, ma le immagini parlano chiaro e
ci mostrano un uomo già immobilizzato, reticente forse all'arresto, ma
non così violento da necessitare di essere stordito.
Secondo sempre il capo della polizia si parlerebbe di "morte in
custodia", attribuendo il decesso alla quantità di sostanze stupefacenti
rinvenute nel sangue della vittima, ma ancora una volta le proteste dei
familiari di Anderson si fanno sentire e a gran voce denunciano le azioni
della polizia statunitense, mentre in ogni luogo le persone chiedono
spiegazioni e chiarimenti temendo in ogni istante che la storia si possa
ripetere…
Beatrice De Luca
Matteo Messina Denaro: tra mafia, giustizia e complottismo
Il mafioso più ricercato d'Italia si stava recando in un bar di fronte a una clinica privata siciliana quando un poliziotto lo ha avvicinato e gli ha chiesto il suo nome. Non ha mentito. Ha alzato lo sguardo e ha detto: "Tu sai chi sono. Sono Matteo Messina Denaro”. Fino a quel momento, gli agenti non erano sicuri che quell'uomo fosse davvero "il capo di tutti i capi" della mafia, a cui davano la caccia da tre decenni. Aveva un appuntamento in clinica con il nome di Andrea Bonafede. Dopo anni di indagini minuziose, e con solo un identikit del suo volto, i Carabinieri hanno finalmente capito che era lui la persona che stavano cercando. In qualità di capo dell'organizzazione mafiosa nota come Cosa Nostra, Messina Denaro gestiva svariate attività di criminalità organizzata, dallo smaltimento illegale di rifiuti fino al riciclaggio di denaro e al traffico di droga. Si dice che fosse il pupillo di Totò Riina, il boss del clan Corleone che dopo 23 anni di latitanza è stato arrestato nel 1993. Quello fu anche l'anno della scomparsa di Messina Denaro.
Per 30 anni, gli investigatori hanno avuto a disposizione solo un identikit al computer e brevi frammenti di registrazioni vocali per identificarlo. I presunti avvistamenti ricevuti dalla polizia lo collocano ovunque, dal Venezuela ai Paesi Bassi. Si è scoperto che il boss mafioso viveva a Campobello di Mazara, un piccolo comune siciliano, a poco meno di tre chilometri dalla sua città natale, Castelvetrano, dove risiede ancora la madre. In città frequentava il bar, faceva la spesa e cenava regolarmente in una pizzeria. Si recava anche spesso in una boutique di Palermo per concedersi qualche lusso, come l'orologio Franck Muller da 35.000 euro che indossava quando è stato arrestato. Ci è voluto così tanto tempo per arrestarlo perché, come per altri boss mafiosi, era protetto da una fittissima rete di complici, profondamente radicata ed estremamente potente in Sicilia e non solo. Molti hanno ipotizzato che l'arresto di lunedì sia stato il risultato di una soffiata degli stessi collaboratori di Messina Denaro, che avrebbero deciso di sbarazzarsene approfittando della sua malattia. Messina Denaro è stato l'ultimo padrino della più dura generazione di mafiosi: negli scorsi due decenni Cosa Nostra ha progressivamente cambiato atteggiamento, diventando un'organizzazione nascosta, più silenziosa e quasi invisibile.
Il mafioso, che si è vantato di poter riempire un cimitero con le sue vittime, è stato processato in contumacia e condannato all'ergastolo nel 2002. I suoi reati includono l'omicidio del 1992 dei procuratori antimafia Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, quello di Antonella Bonanno (la fidanzata incinta di un boss mafioso rivale), l’organizzazione degli attentati esplosivi in tutta Italia tra il 1992 e il 1993 (che causarono in totale 21 morti e 117 feriti) e il rapimento e l'omicidio di Giuseppe Di Matteo, il figlio dodicenne di un ex mafioso diventato testimone di Stato. Il ragazzo è stato tenuto prigioniero per due anni prima di essere ucciso e il suo corpo è stato sciolto nell'acido per impedire alla famiglia di seppellirlo.
Messina Denaro ha ricevuto protezione da uomini importanti probabilmente a causa di ciò che sapeva sul periodo più sanguinoso di Cosa Nostra e sugli attentati del 1992 e 1993 a Roma, Milano, Palermo e Firenze. Saverio Lodato, che era amico di Giovanni Falcone, spiega: "Messina Denaro ha informazioni sui 30 anni di segreti dello Stato e della mafia, sui rapporti che avevano. Bisognerà vedere se vorrà vivere in carcere o collaborare. In questo caso, vale la pena chiedersi cosa viene prima, l'omertà del popolo o quella dello Stato. Vanno sempre di pari passo". Da anni l'Italia attende i risultati dell'inchiesta sull’ipotetica Trattativa Stato-Mafia, che indaga se il governo italiano abbia negoziato con Cosa Nostra negli anni '80 e '90 per fermare gli attentati terroristici. Si sospetta che lo Stato fosse disposto ad ammorbidire le dure condizioni di detenzione di 400 detenuti e a concedere loro altri privilegi legali se il gruppo mafioso siciliano avesse interrotto gli attentati. Il giudice Nino Di Matteo, incaricato di indagare sul caso Stato-mafia, non ha dubbi che questo sia uno dei fattori che ha permesso a Messina Denaro di sfuggire alla cattura per tre decenni, e dichiara: "Purtroppo il nostro Paese ha visto situazioni simili in altre occasioni. Anche Totò Riina è stato latitante per 23 anni, Bernardo Provenzano per 43 anni. La storia giudiziaria, purtroppo, ci insegna che questi latitanti hanno potuto rimanere liberi per così tanto tempo perché la rete di protezione che li circondava non era composta solo da mafiosi, ma, in molti casi, anche da esponenti del mondo politico, imprenditoriale, professionale e persino istituzionale. Ora dovremo stabilire se anche Messina Denaro ha avuto coperture e protezioni personali”.
Uno dei magistrati che meglio conosce il caso Messina Denaro è Roberto Scarpinato, che per anni ha indagato su Cosa Nostra e sul clan mafioso dei Corleonesi, facendo parte della leggendaria squadra antimafia di Falcone. "MMD è stato uno dei coinvolti negli attentati del 1992 e del 1993, e uno dei pochi a conoscere segreti importantissimi che coinvolgono uomini potenti e complici della mafia", dice Scarpinato, che oggi è senatore. "Durante le nostre indagini su di lui, abbiamo appurato come fosse protetto da agenti delle forze dell'ordine, che gli fornivano informazioni per sfuggire all'arresto. Alcuni di loro sono stati arrestati e altri condannati”. L'indagine è stata condotta dal procuratore di Palermo Paolo Guido, che ha seguito i metodi della vecchia scuola del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato da Cosa Nostra nel 1982. La strategia prevedeva intercettazioni, pedinamenti e controlli sulle liste dei malati di cancro alla ricerca di nomi con la stessa malattia di Messina Denaro.
L’efficacia con cui il latitante riusciva a nascondersi alle forze dell’ordine trova la sua causa principale in un’omertà onnipervasiva, nel codice del silenzio osservato in una regione che la criminalità organizzata guidata da Messina Denaro ha governato per decenni. Non c'è dubbio che Messina Denaro sia stato protetto durante la sua latitanza: ad alto livello, da parte di funzionari dell'amministrazione e politici (sono stati effettuati diversi arresti in merito nel corso degli anni); a medio livello, tramite gli imprenditori che avevano rapporti con le sue società redditizie, nonché i medici, gli avvocati e i fornitori di servizi che guardavano dall'altra parte (categoria cui le autorità fanno riferimento con il termine "borghesia mafiosa"); infine, dalla gente comune: nessuno nella città di Campobello di Mazara o di Castelvetrano lo tradiva, al contrario i più lo vedevano come un benefattore. La provincia di Trapani ha una presenza mafiosa molto forte e non si fida dello Stato. Se devi cercare lavoro o cibo, solo i mafiosi te lo possono garantire. Sconfiggere la cultura mafiosa è molto più difficile che sconfiggere i singoli boss.
L'Italia è ora divisa tra chi pensa che Messina Denaro sia stato arrestato e chi crede che si sia lasciato arrestare. Anche il giudice Scarpinato condivide questi dubbi. "Recentemente, tutto il suo comportamento è cambiato. Ha messo da parte i metodi sofisticati che usava prima e ha commesso una serie di errori da principiante, come usare il cellulare, scattare selfie, chattare su WhatsApp e usare documenti che appartenevano a parenti di altri boss mafiosi", sottolinea. Molti altri esperti invece pensano sia un’assurdità: nessuno vuole essere arrestato, tanto meno lui. Lo scorso dicembre inoltre è accaduto qualcosa che potrebbe essere collegato al suo arresto. Messina Denaro ha sempre avuto contatti di alto livello in Italia: il padre ha iniziato la sua carriera criminale come guardia armata della famiglia D'Alì, ricchi proprietari terrieri e tra i fondatori della Banca Sicula, la più importante della Sicilia fino a quando non è stata assorbita da un altro gruppo bancario nel 1994. Le due famiglie divennero amiche e prosperarono in modi diversi. Antonio D'Alì, figlio del fondatore, è stato poi senatore per il partito politico Forza Italia e sottosegretario di Stato al Ministero dell'Interno. Ma nel dicembre scorso è stato condannato a sei anni di reclusione per reati legati alla mafia e mandato in carcere. Esattamente un mese dopo, Messina Denaro è stato arrestato.
Il fatto che Messina Denaro conducesse una vita tanto spensierata a Campobello di Mazara e che tutto ciò si svolgesse nel suo territorio di nascita è stato un’ulteriore motivo di dubbio di parte della popolazione italiana in merito alla narrazione ufficiale di una “cattura” del latitante. Ha fatto inoltre notevole scalpore la dichiarazione di Salvatore Baiardo (un ex tuttofare dei fratelli Graviano condannato per calunnia, falso e favoreggiamento) al giornalista Massimo Giletti, che più di un mese prima dell’arresto prediceva quest’ultimo: poiché gravemente malato, avrebbe offerto la sua vita ormai prossima alla fine allo Stato in cambio del miglioramento delle condizioni di altri uomini di mafia già catturati.
In realtà non è detto che Matteo Messina Denaro abbia trascorso la totalità dei suoi 30 anni di latitanza in Sicilia, potrebbe anche essersi rifugiato all’estero o nel resto d’Italia per poi tornare nella propria terra natale a causa della malattia o per qualsiasi altra ragione. Ma anche questo è tuttavia abbastanza improbabile, soprattutto a causa del consenso quasi generale delle persone comuni alla mafia nei territori di quest’ultima: restare nella propria regione d’appartenenza per un mafioso in latitanza infatti non è un’anomalia, bensì la norma. Il boss di mafia non è un lavoro come tutti gli altri: non ci si può dimettere. Si finisce di essere boss solo in caso di morte (violenta o naturale) o di arresto: questo perché scegliendo di “licenziarsi” dal mestiere di boss mafioso ci sono buone probabilità di essere ucciso dai tuoi nemici interni, da chi ti succede e teme che tu possa tornare a riprenderti il potere, da qualcuno che voglia vendicarsi o impedire che tu possa rivelare importanti segreti. Mantenere il proprio potere significa quindi rimanere in vita: per farlo c’è bisogno di una rete di protezione, che a sua volta necessita di una grande quantità di denaro, la cui fonte è rappresentata la maggior parte delle volte da attività criminali (il traffico di droga, la gestione degli appalti e così via). Per farlo è vitale restare nel proprio territorio, dove è incredibilmente più semplice svolgere queste attività, soprattutto per ragioni di risorse umane.
Si sottolinea molto anche il fatto che Messina Denaro non abbia opposto resistenza. Ciò in verità è molto comune quando si tratta di ricercati di grosso calibro. Tutti i boss di mafia al momento dell’arresto non hanno alcuna possibilità di fuga e non avrebbe senso per loro opporre resistenza dal momento che sono circondati da centinaia di carabinieri e anche quelli non presenti potrebbero accorrere all’istante.
Passando invece alla parte più spinosa e nebulosa delle questioni diffusesi in merito all’arresto di Matteo Messina Denaro, sulla quale mi sembra più legittimo avere dei dubbi, analizziamo nel dettaglio la dichiarazione di Baiardo. “Magari presumiamo che un Matteo Messina Denaro sia molto malato e faccia una trattativa per consegnarsi lui stesso per realizzare un arresto clamoroso” inizia Baiardo; quindi secondo questa teoria Denaro si sarebbe fatto arrestare volontariamente perché molto malato. La prima impressione è che possa essere andata facilmente proprio così. È chiaro però che per quanto possa essere affascinante il racconto per cui lo Stato continua a trattare con la Mafia e avrebbe concordato questo arresto, sarebbe opportuno analizzarne i singoli passaggi logici del ragionamento prima di considerarlo corretto. Quale dovrebbe essere il fine di un’ipotetica richiesta di arresto da parte di un Matteo Messina Denaro malato? Farsi curare a spese dello Stato? Non credo che la mafia abbia alcun impedimento di natura economica. E se anche fosse questa la ragione, non mi sembra una scelta particolarmente oculata da parte sua: si farà curare sì, ma a 60 anni si ritrova a dover passare il resto della sua vita con l’ergastolo ostativo in regime di 41-bis, senza poter interagire con anima viva e condannato a un regime carcerario che secondo l’Unione Europea rasenta la tortura. Tant’è che lo stesso Salvatore Baiardo nella medesima intervista dice che “la massima aspirazione dei fratelli Graviano è uscire dall’ergastolo ostativo”. Non ha quindi senso che MMD si consegni per fare un “regalino” (come lo definisce il collaboratore di giustizia) allo Stato. Ciò potrebbe essere avvenuto forse allora per opera di qualcun altro, ma tutto questo è in contraddizione con le altre affermazioni di Baiardo.
Un’ipotesi plausibile sarebbe quella per cui Messina Denaro abbia deciso di consegnarsi per collaborare con la giustizia rivelando i segreti della mafia allo Stato al fine di risparmiarsi il 41-bis. In quest’ultima teoria però non torna il fatto che se Matteo Messina Denaro fosse realmente disposto a rivelare i più importanti segreti di mafia, il primo ad avere l’interesse che ciò non accada è proprio lo Stato italiano, dal momento che questi segreti riguardano la collusione (passata o eventualmente anche attuale) fra la mafia e lo Stato. Sì, bisogna ammettere che l’intervista di Salvatore Baiardo lascia in un primo momento completamente spiazzati alla luce dei fatti, ma allo stesso tempo bisogna anche accorgersi che le sue dichiarazioni presentano una serie di contraddizioni da non poco, senza cadere in un bias di conferma per cui si considera soltanto quella parte dei fatti che dà credito al proprio pregiudizio.
È importante inoltre far notare che la giustizia non è una serie TV di Netflix. La giustizia è regolata da leggi, e non mi risulta che in Italia esista una legge che permetta lo scambio di prigionieri. Un mafioso, collaborando con la giustizia, può al più concordare delle attenuazioni del regime detentivo per sé, non per altri. Saverio Lodato, giornalista che con il pm Nino di Matteo ha scritto il libro Il Patto Sporco in cui ricostruisce proprio la trattativa Stato-Mafia assieme al magistrato che l’indagine su questa trattativa la conduce da sempre, in un intervento nel talk show di La7 Otto e Mezzo ha dichiarato: “A me questo sembra un arresto pulito” (ovvero non intaccato da alcuna nuova trattativa). Ora, io credo che lui di trattative Stato-mafia ne sappia abbastanza. Questo non significa che abbia ragione (nessuno in questo momento può sapere che cosa accadrà). Però, ecco, forse non dobbiamo avere la pretesa di “saperla lunga” solo perché una certa narrazione ci suona più affascinante di altre e conferma certe nostre visioni. Sarà anche finita la pandemia del COVID-19, ma quella delle teorie del complotto di ogni livello sembra rimanere in fase di accrescimento. Mi rendo conto che è difficile essere completamente privi di questa tendenza, anche perché il cervello umano è ossessionato dall’instaurare connessioni fra le informazioni e dal trovare spiegazioni semplici nel più breve tempo possibile, ma quel che tutti possono fare è sforzarsi di ragionare su ogni questione applicando spirito critico e analizzando ogni singolo passaggio logico di un ragionamento. Adottare questo tipo di atteggiamento significa in primis migliorare la qualità della propria vita, dato che oltre a far uscire da una prospettiva per la quale tutti gli altri sembrano essere contro di noi permette anche di guardare il mondo intorno da un punto di vista che non vede tutto in bianco e nero, ma sa cogliere tutte le innumerevoli sfumature possibili.
Davide Morelli