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Davide Morelli
- La fine di una nazione di Davide Morelli
La fine di una nazione
La guerra più antica del mondo postsovietico non è mai finita, e sta vivendo il suo capitolo più sanguinoso dall'ultima grande tregua. A più di 30 anni dall'inizio del conflitto, il suono dell'artiglieria è da poco ritornato ad essere una costante della vita degli armeni e degli azeri della regione in seguito al lancio da parte del governo di questi ultimi di un' "operazione antiterrorismo" in risposta alle presunte provocazioni armene. La principale fonte di tensioni era stata la chiusura azera del corridoio di Laichin, che collega l'enclave del Nagorno-Karabakh all'Armenia, sostenendo che Erevan lo stesse usando per estrarre illegalmente le risorse naturali azere e fornire armi alla repubblica indipendentista; dal canto suo l'Armenia ha accusato l'Azerbaijian di genocidio, per aver cercato di affamare la popolazione del Karabakh o di costringerla a lasciare le proprie case.
Dopo i tentativi di negoziazione falliti e le intense pressioni di Francia e Russia, il governo armeno ha annunciato di essere "pronto a impegnarsi" per un cessate il fuoco. Quest'ultimo è arrivato solo il 20 settembre, quando le autorità del Nagorno Karabakh e il ministero della Difesa azero hanno reso pubblico di aver raggiunto un accordo in tal senso.
Malgrado ciò e nonostante il fatto che il governo dell'Azerbaijan ne fosse uscito vincitore vedendo ogni singola sua richiesta soddisfatta, gli scontri al fronte sono continuati e i cittadini della regione di etnia armena si sono riversati a centinaia nell'aeroporto della capitale Stepanakert per fuggire a Yerevan nel timore di un'imminente occupazione azera.
La guerra in Nagorno-Karabakh non solo è stata la più grave di tutti i conflitti che hanno seguito la disintegrazione dell'URSS, ma nel corso degli anni è stata una "bomba a orologeria" per una possibile ulteriore escalation non solo nel Caucaso, ma anche in Medio Oriente.
Per comprendere le differenze etniche, politiche e religiose che hanno portato alla guerra del Nagorno-Karabakh, bisogna risalire a diversi secoli fa, quando cominciarono a sbocciare le differenze che sarebbero esplose alla fine degli anni Ottanta. Si tratta infatti di un conflitto molto antico, vecchio di centinaia di anni. Gli armeni sono i più antichi residenti di quell'area e nel XII secolo persero la loro indipendenza perché nella zona emersero imperi più grandi, governati prima dai persiani, poi dagli ottomani e dall'Impero russo. Da questa annessione forzata emersero i due gruppi che avrebbero poi dato vita a due nazioni indipendenti, l'Armenia e l'Azerbaijian.
Un secolo fa, quando l'impero russo è caduto, c'è stata una grande pulizia etnica degli armeni in Turchia (il famoso genocidio armeno) e nel Nagorno-Karabakh l'Armenia si è scontrata con l'Azerbaigian per circa due anni. Fu allora che la Russia sovietica occupò entrambi le nazioni e la Georgia, e Stalin dichiarò il Nagorno-Karabakh una regione autonoma all'interno dell'Azerbaijian. Come in una serie di matrioske, un territorio a maggioranza armena si trovava all’interno di un piccolo stato di etnia turca facente a sua volta parte di una superpotenza russa.
Gli armeni non hanno mai riconosciuto questo assetto territoriale, avendo storicamente una forte presenza etnica, culturale e religiosa in questa regione. Ma se le tensioni sono state mantenute in gran parte statiche dalla ferrea politica sovietica nell'area, l'indebolimento dell'URSS e il suo eventuale crollo sono stati una miccia inevitabile in una polveriera che era stata contenuta per decenni. Con la dissoluzione dell'Unione, i resti delle basi militari sovietiche nel Caucaso meridionale hanno armato le nascenti forze armate armene e azere, altrimenti povere di risorse economiche e tecnologiche.
Era solo questione di tempo: il 26 febbraio 1988, gli echi dell'artiglieria risuonarono per la prima volta, e avrebbero smesso di risuonare solo sei anni dopo.
L'instabilità regionale generata dalla guerra e gli interessi in gioco hanno portato diversi Paesi a cercare di mediare o intervenire nel conflitto. L'Armenia, che faceva parte dell'impero russo, è storicamente alleata della Russia, mentre la Turchia è alleata degli azeri, che facevano parte dell'Impero ottomano. Anche per gli Stati Uniti la questione è rilevante perché vi sono coinvolti Russia, Iran e petrolio nel Mar Caspio. La Francia invece si sente coinvolta per il gran numero di armeni che sono emigrati lì dopo il genocidio perpetrato dagli ottomani.
I combattimenti durarono tre anni e provocarono circa 25.000 morti. Alla fine del conflitto l'Azerbaijian perse il controllo del Nagorno-Karabakh e di sette distretti adiacenti occupati dalla parte armena, che li considerava una "striscia di sicurezza". Durante la guerra, nel dicembre 1991, si è tenuto in Karabakh un referendum in cui il 99,89% della popolazione ha votato a favore della proclamazione del territorio separatista come Repubblica indipendente dell’Artsakh (nome armeno con cui la regione viene identificata fin dal II secolo a.C.). Tuttavia, l'autoproclamata repubblica del Nagorno Karabakh non è ancora riconosciuta da nessun membro della comunità internazionale. Neanche dall'Armenia.
È stato istituito all'interno dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) il Gruppo di Minsk per la soluzione del Karabakh, co
presieduto da Russia, Francia e Stati Uniti, ma nonostante gli sforzi dei mediatori, le parti in conflitto non sono mai riuscite a raggiungere un compromesso duraturo: secondo l'Armenia, una delle ragioni è che il Nagorno-Karabakh è stato escluso dal processo negoziale poco dopo la firma del cessate il fuoco.
Dopo diversi anni di relativa calma lungo la linea di separazione delle forze, nuovi scontri nel Nagorno-Karabakh nell'aprile 2016 hanno riacceso i timori di un conflitto su larga scala e sono passati alla storia come "guerra dei quattro giorni".
Quella che è nota come seconda guerra del Nagorno-Karabakh è invece iniziata il 27 settembre 2020 con i bombardamenti azeri sull'intera linea del fronte e su Stepanakert (Jankendi, secondo l'Azerbaijian), la capitale dell'enclave. Le forze azere sono riuscite a riconquistare centinaia di località nelle regioni controllate dagli armeni e si sono impadronite della città di Shusha, vicino a Stepanakert. La guerra, in cui sono stati uccisi più di 2.800 militari azeri e 2.900 armeni, è durata fino al 10 novembre, quando si è conclusa grazie agli sforzi di mediazione della Russia, che ha portato al tavolo il presidente azero Ilham Aliyev e il primo ministro armeno Nikol Pashinian.
Come parte dell'accordo, la Russia ha istituito un contingente di pace per garantire il rispetto delle regole da parte di entrambe le parti: sebbene l'accordo a tre parti abbia interrotto le ostilità, le tensioni tra le due parti sono rimaste alte e il contingente di pace russo ha ripetutamente denunciato violazioni del cessate il fuoco nell'area sotto il suo controllo. A ciò si sono aggiunti gli attacchi transfrontalieri di cui entrambe le parti si sono accusate a vicenda, in cui sono stati uccisi più di duecento militari di entrambe le parti.
Arriviamo quindi ai giorni d’oggi, con la ripresa degli scontri e il cessate il fuoco del 20 settembre (ore 11), sul quale i civili non hanno fatto molto affidamento, continuando a fuggire dalla regione.
Avevano ragione.
È stato infatti la notte stessa che l’Azerbaijan ha ripreso l’invasione, ha raggiunto la capitale Stepanakert e ha costretto la repubblica dell’Artsakh alla resa. I due governi si sono incontrati per decidere i termini di quella che sarà la completa riannessione del territorio da parte dall’Azerbaijan: l’unico obiettivo diplomatico che il Nagorno Karabakh può sperare di raggiungere è di assicurare i diritti civili alla minoranza armena.
Difatti l’Azerbaijan serba un odio profondo nei confronti del popolo armeno (nei libri di storia vengono chiamati “banditi” o “aggressori”) e la minoranza armena già presente sul suo territorio è vittima di persecuzioni.
È stato infatti la notte stessa che l’Azerbaijan ha ripreso l’invasione, ha raggiunto la capitale Stepanakert e ha costretto la repubblica dell’Artsakh alla resa. I due governi si sono incontrati per decidere i termini di quella che sarà la completa riannessione del territorio da parte dall’Azerbaijan: l’unico obiettivo diplomatico che il Nagorno Karabakh può sperare di raggiungere è di assicurare i diritti civili alla minoranza armena. Difatti l’Azerbaijan serba un odio profondo nei confronti del popolo armeno (nei libri di storia vengono chiamati “banditi” o “aggressori”) e la minoranza armena già presente sul suo territorio è vittima di persecuzioni.L’Armenia non è intervenuta: probabilmente per timore di dare inizio a un nuovo conflitto su larga scala. Tuttavia è difficile pensare che ciò non accadrà in futuro: infatti l’Azerbaijan è governato da decenni da presidenti autoritari che si sono passati il potere di padre in figlio, i quali considerano l’Armenia nient’altro che Azerbaijan occidentale e sono determinati a ricollegare la loro exclave (Nakhichevan) al territorio azero, a spese dall’Armenia. Inoltre l’Armenia si è negli ultimi anni politicamente avvicinata sempre di più all’Occidente, inviando aiuti umanitari all’Ucraina e permettendo esercitazioni militari statunitensi sul proprio territorio: tutto questo ovviamente non è piaciuto alla Federazione Russa, suo storico alleato, che ora è sempre meno incline a difenderla. La situazione è ulteriormente complicata dal fatto che dall’inizio delle sanzioni alla Russia buona parte dell’Unione Europea è diventata economicamente dipendente dal gas e dal petrolio dell’Azerbaijan, compresa l’Italia, che ne è il maggior acquirente.
A fare le spese di tutto questo è la popolazione locale, che oltre ad aver subito migliaia di perdite umane nel corso di questi anni, si trova ancora oggi in condizioni di estrema precarietà, lottando giorno per giorno per il proprio diritto alla vita.
Davide Morelli